Se leggo bene i segnali, insomma, mi pare di capire che fin dal 2015 il mercato del Digital Advertising, finora dominato da Google Adwords, conoscerà una nuova fase di concorrenza senza esclusione di colpi.
Google Adwords, come è noto, ha il suo punto di forza nelle risposte PPC alla query di ricerca fatta da ogni utente nel suo motore di ricerca. La pertinenza degli annunci pubblicitari rispetto al target è data quindi fondamentalmente dalla relazione semantica tra la query di ricerca dell’utente e le keyword impostate autonomamente dall’advertiser nella fase di set-up dei suoi annunci.
Con un meccanismo per molti versi simile a quello delle query, Google Adwords domina anche il mercato dell’advertising grafico (la così detta rete display). In questo caso, alla ricerca diretta da parte dell’utente si sostituisce il banner promozionale, che viene pubblicato su circa 1 milione di siti piccoli e grandi sfruttando sia i meccanismi di remarketing, sia la vicinanza semantica tra l’annuncio e le pagine target su cui l’annuncio verrà visualizzato.
Mediante questi meccanismi, Google riesce a garantire una solida pertinenza tra gli annunci da pubblicare e il target appropriato per ogni annuncio.
Tutto bene, quindi?
Non tanto. Perché quella di Google non è una vera e propria profilazione. Nella maggior parte dei casi, infatti, Google non conosce affatto il destinatario degli annunci che sta visualizzando, ma cerca semplicemente di indovinarne gli interessi su base statistica e basandosi sui cookies per determinare le abitudini di navigazione. Una profilazione autentica, al contrario, sarebbe possibile solamente su base nominativa, applicando dei criteri di analisi e selezione ad ogni record all’interno di un database clienti.
Digital Advertising: i nuovi player
Insomma, è evidente che c’è spazio, nel mondo dell’advertising digitale, per nuovi player in grado di partire da un enorme database clienti per determinare, mediante adeguati criteri di profilazione, qual è l’annuncio più giusto da far vedere ad ogni persona. C’è spazio, insomma, per player del calibro di Amazon o Facebook.
Amazon ha ormai un database vastissimo e di portata internazionale, ed è in grado di effettuare profilazioni e clusterizzazioni sulla base delle abitudini di acquisto di ciascun cliente. È in grado, insomma, di creare per ognuno di noi dei profili RFM (Recency, Frequency e Monetary) basati sulle nostre abitudini d’acquisto.
Facebook non dispone invece, al momento, di questi dati, ma è in grado di profilarci sulla base delle nostre abitudini di navigazione all’interno del network e delle preferenze da noi esplicitamente espresse. È con questo meccanismo che Facebook decide di visualizzare gli annunci pubblicitari che “adornano” tutti i giorni la nostra bacheca, ed è con questo stesso meccanismo, opportunamente traslato, che l’azienda di Zuckerberg potrebbe entrare molto presto nel mercato pubblicitario.
Se Facebook entra in gioco
È di poche settimane fa, infatti, la notizia che Facebook ha terminato di mettere a punto Atlas, la piattaforma che aveva acquistato da Microsoft nel 2013 allo scopo di farne uno strumento di marketing integrato – capace, cioè, di connettere campagne online e vendite off-line mantenendo le potenzialità di targeting proprie di Facebook.
La peculiarità più importante di Atlas è infatti proprio nel fatto di potersi basare non più sui cookies per determinare i comportamenti di navigazione dei consumatori, ma direttamente sull’identità digitale di ognuno, così come emerge dal proprio profilo Facebook. La differenza è, naturalmente, enorme: basti pensare che, laddove i cookies sono residenti su un solo computer, i dati gestiti dal sistema di Identity Management di Facebook ci seguono di dispositivo in dispositivo, consentendo di mantenere il focus sul target mentre questo si sposta dallo smartphone al tablet, dal computer di casa al portatile dell’ufficio.
Lo scenario che si presenta per il prossimo futuro, quindi, è, da un lato, apocalittico (con Zuckerberg nel ruolo del Big Brother in una versione rimodernata del 1984 di Orwell), dall’altro – guardando le cose con le lenti del marketer – ricco di prospettive.
Di certo, il digital advertising, così come lo conosciamo oggi, cambierà radicalmente, lasciando il posto ad una comunicazione molto più personalizzata e basata sull’interazione e sul remarketing di quanto non sia adesso, e soprattutto ad un marketing che troverà sempre più spazio nei dispositivi mobili, grazie ai nuovi meccanismi di profilazione multicanale.
E tu, come la pensi? Trovi queste prospettive un segnale inquietante, o le vedi come nuove opportunità per il tuo business? Lascia un commento!