Il mondo digitale, per come lo conosciamo oggi, è il mondo dei Social Network.
Questi servizi web hanno infatti guadagnato negli ultimi tre o quattro anni un’enorme utenza, grazie alla facilità con cui è possibile interagire tra peers, condividere contenuti e in generale stabilire dei canali di comunicazione e di relazione interpersonale.

Come risultato di questo trend di caratura mondiale, negli ultimi anni i social media sono divenuti oggetto di studio sociologico, in quanto attraverso di essi è possibile, di fatto, analizzare in modo articolato come funziona la socialità umana e determinare quale impatto hanno avuto i Social Network nell’evoluzione recente di essa nel mondo industrializzato.Ciò che invece è stato raramente oggetto di studio, è in che modo i social network si siano essi stessi evoluti, apportando modifiche rilevanti al proprio ambiente interno e modificando così radicalmente i comportamenti degli utenti.Twitter, nel mondo dei Social Media, rappresenta anche sotto questi aspetti un unicum. Anzitutto, per le sue origini: si tratta infatti di un raro caso di Social Media nato specificamente per l’utilizzo in mobilità mediante la piattaforma di comunicazione SMS (da qui il limite, mai più rivisto, dei 140 caratteri), quindi sbarcato sul web e tornato infine nel luogo d’origine grazie all’evoluzione degli smartphone.
Poi, perché si tratta di un social network che si è evoluto soprattutto grazie alla diffusione di comportamenti spontanei dei suoi utenti che solo in seguito sono stati supportati dalla piattaforma di microblogging.
Pensiamo, ad esempio, agli hashtags, alle menzioni e ai retweet: tutte modalità di interazione oggi a noi familiari e di uso quotidiano, ma che sono nate dal basso, dalla diffusione orizzontale tra gli utenti, per essere solo in seguito codificate da Twitter e rese universali.
Twitter, insomma, appare essere una piattaforma quanto mai singolare, e per questo molto studiata in ambito sociologico, ma poco dal punto di vista dell’Environment. A questa lacuna ha colmato recentemente uno studio patrocinato da due università statunitensi (Brown e Northeastern), dove tre ricercatori (Yabing Liu, Alan Mislove and Chloe Kliman-Silver) hanno condotto un’analisi su un campione di 37 miliardi di Tweets diffusi negli ultimi 7 anni per dedurre diverse conferme scientifiche a quanto già sapevamo empiricamente, assieme ad alcuni dati più interessanti e innovativi.
Sempre più cosmopolita
Il primo dato interessante evidenziato dalla ricerca è senza dubbio la natura cosmopolita e poliglotta di Twitter. Si tratta, in questo caso, di una evoluzione avvenuta a partire dal 2009. Tra questo anno e il successivo, infatti, si registra il rapido declino della percentuale di Tweets in lingua inglese, che passano dall’80% del totale, ad attestarsi su una soglia valutabile intorno al 32%, ad indicare una diffusione della piattaforma al di fuori della zona d’origine (Canada e USA), e nello specifico in America Latina e soprattutto nel Medio Oriente. Che quest’ultima area, del resto, sia quella che oggi ha di gran lunga la maggiore quantità di utenti in relazione alla popolazione, è noto grazie anche ad altre ricerche (ad es. questa, a mio parere particolarmente interessante).
Di contro, l’Europa si è sempre rivelata restìa ad un uso massiccio di Twitter come mezzo di comunicazione sociale: i Tweet provenienti dalla nostra area, infatti, non sono mai superiori al 20% del totale, a dimostrare ancora una volta le note difficoltà che riscontriamo anche in Italia nel rapportarci alla piattaforma di microblogging più diffusa al mondo.
Attivo o non attivo?
Twitter, è noto, dichiara come account attivi tutti coloro che hanno effettuato almeno un login nel corso di un dato periodo. È un criterio, valido come tanti altri: tuttavia, gli estensori della ricerca hanno considerato “attivi” solo gli utenti che, sempre in un periodo fissato, avessero inviato almeno un Tweet. Il risultato è stato sconvolgente: quasi un utente di Twitter su tre risulta essere attualmente inattivo.

Di più, se guardiamo il grafico qui sopra, vediamo chiaramente come questa percentuale di inattività non è affatto costante nel tempo, ma subisce un’accelerazione a partire dal 2010 e ancor oggi presenta un trend in continua crescita, così come cresce il numero di account sospesi, chiaro segno dell’emergere prepotente di pratiche illecite.
Nell’insieme, i dati danno un segnale chiaro, che indica una crescente difficoltà degli utenti a capire il mondo di Twitter e a integrarvisi stabilmente – dato, questo, confermato anche dall’evoluzione del valore mediano dei Tweet inviati per utente/mese: un valore che ha smesso da molti anni di crescere per attestarsi tra 20 e 25 (quindi, meno di un Tweet al giorno per persona).
Le caratteristiche sociali
Se, dopo aver visto come si evolve la diffusione di Twitter, entriamo nello specifico del comportamento dei singoli utenti e delle caratteristiche sociali delle connessioni proprie del network, scopriamo che, se da un lato l’evoluzione della piattaforma ha portato con sé un aumento sensibile del numero di Followers e di Followings (in media, del 400% tra il 2009 e il 2013), dall’altro i valori relativi di questi due dati indicano che Twitter è una rete disassortativa, in cui, cioè, i nodi di grado minore hanno una maggiore probabilità di connettersi con i nodi di grado maggiore.
La maggior parte degli utenti, in altre parole, ha un numero di Followings maggiore del numero di Followers.
Se guardiamo la cosa da un profilo sociologico e non matematico, l’insieme di questi dati significa che Twitter ha, oggi, un valore sociale come piattaforma di diffusione e percolazione delle informazioni: non a caso, del resto, è la piattaforma preferita dalle celebrities così come da uomini politici e organizzazioni vive nel sociale per la comunicazione con i propri fans.
Contenuti
Il grafico qui sotto evidenzia l’evoluzione dei contenuti complessi (Links, menzioni, hashtags: in generale “entities“) nell’evoluzione dei Tweet dalla nascita della piattaforma ai giorni nostri, dal punto di vista della quantità di entities per Tweet, e dal punto di vista della percentuale di Tweets contenenti entities.

Risulta evidente, anzitutto, come gli hashtags abbiano conosciuto una diffusione sempre più capillare, al punto da interessare oggi quasi il 20% dei Tweets. Non solo: dal primo grafico emerge chiaramente come degli hashtags si faccia oggi un uso sempre più vicino all’abuso (il così detto hashtag spam), mentre al contrario il numero di links rimane sostanzialmente stabile nel corso degli anni.
Una particolare attenzione, secondo me, merita invece l’ultima voce, quella relativa alle menzioni (in verde nei grafici). Troviamo infatti non solo una stabilizzazione delle menzioni per click a livelli piuttosto elevati (circa 1,3 menzioni per Tweet), ma soprattutto una percentuale di Tweet contenenti menzioni superiore al 50%.
Cosa vuol dire? A mio parere, vuol dire che Twitter sta sempre più prendendo forma come piattaforma conversazionale e di scambio di pareri, informazioni, battute a livello orizzontale. L’utente di Twitter, in sostanza, è sempre meno Vox Clamantis in Deserto, e sempre più parte attiva nel coinvolgimento dei suoi Followers in conversazioni che coinvolgono – necessariamente – pochi utenti per volta, come in una sorta di salotto virtuale.
Riconosci Twitter in questo ritratto? Qual è il tuo rapporto con la piattaforma dei 140 caratteri? Come la usi principalmente? Lascia un commento!