L’abbiamo ripetuto fino allo sfinimento, negli ultimi anni: il modo di fare marketing è cambiato. L’avvento dei social network, diventati in fretta social media, ha cambiato il senso della comunicazione aziendale. La pubblicità così come la concepivamo venti, trent’anni fa è limitata. Bisogna cambiare il senso di marcia dell’advertising, è il momento di fare Invertising. È questo il senso dei due interventi (una lectio magistralis e un workshop) di Paolo Iabichino, Chief Creative Officer di Ogilvy and Mathers Italia, a Pazza Idea 2014, festival della creatività magistralmente organizzato in quel di Cagliari dall’associazione culturale Luna Scarlatta e arrivato alla seconda edizione. Questa è la mia versione dei fatti (ovvero, ciò che ho capito e cosa mi ha colpito).
Perché Invertising?
Perché il vecchio modo di fare advertising è insufficiente, se non dannoso. L’Invertising è un cambio di paradigma, è un ribaltamento della visione tradizionale della pubblicità, in cui il pubblico – il consumatore – recitava il ruolo di spettatore passivo del messaggio pubblicitario, e le sue possibilità di reazione erano limitate. Un’azione push, costante, unilaterale, che invadeva televisione, giornali e città senza che i “bombardati” potessero farci granché. Poi, con il social web, ecco che il “target” diventa “pubblico”, ecco la necessità di un maggiore empatia rispetto al passato.
L’avvento del web 2.0 e la nascita dei social network ha modificato l’ordine delle cose. Ora le persone possono far sentire la propria voce più facilmente. Possono andare sulla pagina Facebook di un’azienda e dirgliene quattro. Possono raccontare che no, non è vero che il loro prodotto è fantasmagorico, eccezionale, ineguagliabile. Il target, anzi il pubblico, è tutt’altro che inerme: la possibilità di rispondere, di creare contro-narrazioni, di ironizzare e smentire ha ribaltato i vecchi ruoli della comunicazione pubblicitaria, dove da una parte c’era il comunicatore e dall’altra il ricevente.
Dalla Big Idea al Big Ideal
Il “messaggio” è insufficiente, per l’advertising contemporaneo. Il contenuto del messaggio deve avere qualcosa in più: dev’essere rilevante per il nostro pubblico, deve raccontare qualcosa che emozioni e che colpisca. Il brand deve portare in scena un credo, deve presentare la propria visione del mondo e della vita, deve andare al di là della “semplice” promozione. Le idee sono ancora la chiave di volta, ma hanno successo se sostenute da un ideale che sottende un enunciato fondamentale: come vogliamo che si sentano le persone quando entrano in contatto con la nostra marca? Senza un Big Ideal, la Big Idea rischia di perdersi nelle nebbie del sovraccarico informativo caratteristico di questi tempi.
Oggi per un brand posizionarsi significa prendere posizione. E se è vero che il fine di ogni comunicazione aziendale è quello di far conoscere il prodotto (e il brand) e fare in modo che sia apprezzato e, soprattutto, acquistato con costanza nel tempo, è altrettanto vero che scegliere di raggiungere questo obiettivo come si faceva venti o trent’anni fa è una scelta fallimentare.
Intercettare i racconti di vita delle persone, ascoltare e non prevaricare, sostituire gli stereotipi con gli archetipi, non solo “dire”, ma “dare”: tutto questo è invertising, il passo obbligato per scongiurare l’estinzione dell’advertising.