Cercando su internet possiamo trovare informazioni di ogni genere, attuali, storiche, rilevanti o non rilevanti. Abbiamo a disposizione uno strumento che ci permettere di tornare indietro nel tempo e ripercorrere fatti o avvenimenti relativi a persone, luoghi o cose.
È tutto sempre così semplice e indolore quando eseguiamo una ricerca? Quando andiamo a riscoprire la biografia di una persona o informazioni di un personaggio famoso cosa troviamo nella rete?
Bhe, non sempre tutte le informazioni che riusciamo a pervenire sul web rispettano i diritti dei soggetti interessati, alcune ne rovinano la reputazione e altre non corrispondono, per il tempo trascorso e l’avvicendarsi degli eventi, all’attuale verità.
Partendo dalla definizione di Diritto all’Oblio possiamo ricondurre entro questi termini una forma di garanzia per la non diffusione di precedenti pregiudizievoli riguardanti una persona nonché una maggiore tutela per la riservatezza dei dati personali.
In breve si potrebbe definire come il diritto ad essere dimenticati, un diritto alla privacy storica.
Questo è un diritto che non nasce nel Web, seppur la ridondanza delle notizie abbia preso il largo proprio tramite la rete, ma è già presente tra i ragionamenti giurisprudenziali delle Corti intorno agli anni ’90. Lo sviluppo sempre crescente della rete, di internet e la divulgazione delle notizie tramite il web, la cosiddetta informazione on-line, ne ha riaperto l’analisi e fatto emergere alcune problematiche.
Come sappiamo, con l’avvento della digitalizzazione ciascun utente ha a disposizione, in pochi clic, 24 ore su 24, tutte le informazioni che intende reperire ma a scaturire forti polemiche, legate anche alla tutela della privacy e della riservatezza, sono stati i meccanismi automatici d’indicizzazione dei motori di ricerca più utilizzati.
È chiaro che la mera ricerca di una notizia sul motore di ricerca non avrebbe recato danno a soggetti toccati da eventi giudiziari pregiudizievoli se non fosse stata l’indicizzazione a capovolgere i meccanismi di ricerca finalizzata mostrando come risultati primari contenuti che rispondono a ricerche di chiavi specifiche.
La conseguenza?
Molte persone si sono viste scaraventare addosso, nuovamente, fatti del passato, talvolta riguardanti reati gravi o vicende facenti parte della dimensione personale, e si sono sentiti privati della propria identità personale.
La Giurisprudenza si è espressa individuando una contrapposizione tra il Diritto all’Oblio e la libertà di manifestazione del pensiero alla quale presta tutela direttamente la nostra Carta Costituzionale all’art.21.
Pertanto, il diritto d’informazione, il diritto di cronaca, il diritto di critica e il diritto alla riservatezza divengono protagonisti di un intrecciato ragionamento giurisprudenziale.
La Corte Costituzionale è intervenuta nel 2012 in un caso riguardante un personaggio pubblico e articoli, ad esso correlati, relativi a vicende personali desuete; tale personaggio lamentava la lesione della propria identità personale proveniente da un vecchio articolo contenuto in un archivio di un noto quotidiano. L’articolo appariva tra i primi posti di Google date le chiavi di ricerca nome+cognome del ricorrente.
La Corte, stravolgendo la precedente decisione del Giudice di merito, ha riconosciuto il Diritto all’Oblio interpretandolo come diritto alla tutela attuale dell’identità personale e morale di una persona considerata nella sua proiezione nella realtà sociale.
La Corte è giunta a tale interpretazione marcando la differenza tra la classica consultazione archiviale e il Web nel quale tutte le notizie vengono fornite senza contestualizzazione e del tutto asettiche e la necessità che le informazioni vengano divulgate solo se aggiornate e rispondenti a verità attuale.
Quali obblighi incombono sui gestori dei motori di ricerca?
Il problema della tutela dei dati personali si ripercuote sulla visibilità data a determinate notizie collegabili ad un soggetto ed emergenti a seguito di attività di localizzazione e indicizzazione da parte del motore di ricerca. Web spiders, crawler o altri programmi informatici utilizzati per reperire e scandagliare i testi di siti web in maniera automatizzata ne sono i protagonisti indiscussi. Non vi è dubbio alcuno della responsabilità del gestore di un motore di ricerca, unico referente per quanto riguarda le attività di raccolta, estrazione, registrazione e organizzazione dei dati nei programmi di indicizzazione nonché della loro conservazione e comunicazione ai propri utenti. Il gestore non si può considerare estraneo alle attività preindicate e per questo sottratto all’obbligo del rispetto dei dati personali di una persona e al trattamento degli stessi secondo le norme suindicate.
Bilanciando gli interessi in gioco, volendo rispettare il diritto di cronaca dei giornalisti, il diritto d’informazione garantito dall’art. 21 Cost. in correlazione con l’art. 2 Cost. e il diritto alla riservatezza e alla privacy dei soggetti interessati, emerge la prevalenza dell’importanza degli interessi del cittadino piuttosto che di quelli economici del provider o di un editore, avvantaggiato quest’ultimo nell’eliminare determinate informazioni poiché in grado di indicare al provider quali dati non devono essere visualizzati e ciò attraverso ccdd robot.txt, codici noindex o noarchive.
Possono stare tranquilli gli interessati perché potranno ottenere dai motori di ricerca la cancellazione dal web di quei dati personali che li riguardano ma non solo, potranno ottenere lo stesso risultato anche da soggetti terzi divulgatori dei medesimi dati attraverso la cancellazione di link, copie o riproduzione di quanto indicato.
Come chiedere a Google, motore di ricerca più utilizzato in Italia, di cancellare dati scomodi?
Per agevolare i cittadini di tutta l’unione europea è lo stesso Google ad aver creato un modulo dedicato alla richiesta di deindicizzazione.
I passaggi sono semplici, a seguito di una identificazione del richiedente è sufficiente indicare il nome per il quale si richiede la rimozione dei risultati di ricerca, l’e-mail di contatto, tutti i link che si voglio rimuovere e, per ciascuno, la motivazione della rimozione e, da ultimo, un documento di identità per evitare richieste provenienti da Troll.
Dovrà essere considerata solamente come forma di conservazione dei dati incriminati e un utilizzo a fini probatori o con il consenso dell’interessato o per pubblico interesse poiché deindicizzare significa che la ricerca su Google, o altri motori di ricerca, non darà più i risultati segnalati e ciò a seguito del riconoscimento che quei contenuti sono ” inadeguati, irrilevanti o non più rilevanti, o eccessivi in relazione agli scopi per cui sono stati pubblicati”.
Per la cancellazione definitiva sarà necessario contattare il webmaster del sito che ha pubblicato l’articolo.
L’eventuale violazione delle disposizione prevede sanzioni fino a 100 milioni di euro o fino al 5% del fatturato mondiale annuo del titolare del trattamento dei dati.
E voi, che ne pensate? Avete dati scomodi da far cancellare o potete dormire tranquilli?