Caro copywriter, ho una buona notizia per te: ricordi quelle interminabili lezioni scolastiche in cui ronfavi mentre la tua professoressa di italiano spiegava alla tua classe le figure retoriche? Non sono state lezioni inutili! Oggi ti consiglio qualche spunto per il copywriting destinato alle pubblicità sui media classici a partire proprio dall’aristotelica arte della persuasione. Ti prometto che stavolta… non ronferai!
Fermi tutti… ma che vuol dire “Above The Line”?
In realtà no, non vuol dire che sei un copywriter stravagante. E nemmeno che te la tiri. Un copywriter che ha a che fare con l’advertising cosiddetto “above the line” significa che dovrà scrivere dei testi destinati alla comunicazione pubblicitaria sui media classici: ad esempio, per spot televisivi e radiofonici, per la stampa, per il cinema e per la cartellonistica urbana (manifesti e poster).
*COPYWRITER NERD ALERT*: Il copywriting “above the line” si distingue dal suo complementare “below the line”, che ha invece a che fare, ad esempio, con testi di brochure e volantini o con metodi quali il direct marketing (ovvero il marketing diretto, ad esempio via e-mail, sms o instant messaging).
In parole povere, se lavori ATL hai a più spesso che fare con la comunicazione di un prodotto; se lavori BTL, hai piuttosto a che fare con la promozione di un prodotto.
Esiste anche il copywriting “by-line”, vale a dire la scrittura di un testo per conto di qualcun altro che lo firma a nome proprio al posto tuo. Come se io scrivessi “Babba bìa, che tristezza però il copywriting by-line”. By Tizio Caio. Tutto chiaro?
(Messaggio subliminale? Ma no, guarda che l’ha detto Tizio Caio! 😉 )
Ma che me ne faccio delle figure retoriche?
Pelandrone! La retorica, oggi così poco studiata, dovrebbe essere in realtà del pane quotidiano per un copywriter, perché ha a che fare da secoli con lo studio delle tecniche verbali di persuasione. In gergo comune dire che qualcosa è espresso in maniera “retorica” significa che risulta artificioso, noioso, inutilmente agghindato; e pure, talvolta, poco credibile.
Sebbene col tempo la retorica abbia assunto un’accezione negativa nel parlato quotidiano, il suo scopo era (ed è tuttora), però, ben altro che riprovevole: l’intento di questa disciplina è quello di analizzare la produzione di effetti evocativi, un intento straordinariamente pertinente con il legame tra linguaggio e affettività e per questo stesso motivo molto, molto utile a chi si occupa di comunicazione pubblicitaria.
Di figure retoriche ne esistono a bizzeffe, ma nel caso di studio che ti propongo ne vedremo, molto rapidamente, appena otto. In questo primo post, per non annoiarti, ti presento solo i primi quattro esempi. Preparati a un viaggio nei ricordi: se, come me, sei un copywriter nato a cavallo tra anni ’80 e ’90, con alcuni spot potrebbe scenderti qualche lacrimuccia di nostalgia!
L’onomatopea delle Pringles
Cosa noti di interessante in questo spot (a parte un giovanissimo Brad Pitt)? Tutto è un’esplosione di energia e, in particolare, tutto fa pop-pop-pop: “pop” infatti, oltre a riferirsi alla corrente artistica, al genere musicale e alle bibite gassate, in inglese è un verbo che indica il causare una piccola o grande esplosione improvvisa.Questa idea è stata sfruttata in coordinato nello spot, da un lato tramite una direzione artistica che predilige ritmi scoppiettanti, e dall’altro lato tramite la scelta di uno slogan facilmente memorizzabile e molto, molto persuasivo: “Once you POP, you can’t STOP”, ovvero “Una volta che apri la nostra confezione (che fa “POP!” quando la apri, perché è un tubo di carta col tappo di plastica!) non riuscirai a fermarti”.
L’aspetto interessante per noi copywriter in cerca di ispirazione è che Pringles ci ha convinti a mangiare le sue patatine senza parlarci delle sue patatine, ma solo della confezione che le contiene; e se riesce a farlo, è proprio grazie a quest’uso strategico dell’onomatopea. Lo slogan scelto da Pringles contiene anche una seconda figura retorica: scopriamola subito qui sotto.
L’omoteleuto delle Haribo
Alzi la mano chi non si è mai fatto delle grandi scorpacciate di caramelle gommose da bambini. E magari anche non solo da bambini. Magari tipo nelle pause dallo studio. O tipo… l’altro ieri. Ehmmmm… *sguardo innocente* siamo tutti colpevoli, giusto?
Haribo è consapevole del potenziale incantatore del suo prodotto, così colorato e dolce e morbidissimo e irrifiutabile. E sa bene anche che davanti al suo prodotto è facile far tornare tutti bambini. Come comunicare tutto questo in una manciata di parole e in maniera che rimanga impressa agli acquirenti? Haribo ha scelto l’immaginario dell’infanzia come concept e si è espressa con uno dei suoi generi, la filastrocca.
Una cosa che caratterizza le filastrocche è la rima baciata, un caso particolare di omoteleuto (dal greco: “che termina in modo simile”) e lo slogan prodotto grazie a questa rima ce lo ricordiamo ancora tutti dopo anni: “Haribo è la bontà che si gusta ad ogni età”.
La metafora dei rubinetti Zucchetti
I rubinetti Zucchetti, diciamocela tutta, non avevano proprio voglia di passare inosservati. Che scherziamo? Siamo negli anni ’80, il decennio “del consumismo”: a quell’epoca non solo un prodotto come il rubinetto poteva passare tutto il giorno in tv con uno spot creativo; ma se lo faceva, lo faceva in un modo che lèvate!Infatti, dietro allo spot di Zucchetti c’è un concept semplice, ma realizzato ed espresso in modo complesso: l’acqua che scorre è come una bestia da domare, informe, potente, ingovernabile, come un leone a cui hai fatto girare gli zebedèi. Che problema! In una casa poi! Come facciamo? Serve un rubinetto. Tipo… il nostro rubinetto. Mica quello del tuo vicino di casa, eh. Il nostro è un “domatore d’acqua”. Al tuo vicino che non ha Zucchetti, invece, condoglianze e… panta rèi.
Scherzi a parte, proviamo a capire le mosse che ha fatto Zucchetti. Una volta constatato che comunicare un rubinetto non è semplice, la prima intenzione che emerge da questo spot è quella di suscitare in qualche modo curiosità per l’acqua e di associarla a un’idea non convenzionale. Ad esempio, se l’acqua è come “una bestia inferocita che va domata”, beh, noi di Zucchetti siamo “domatori d’acqua”.
Questa associazione espressa nello slogan è possibile in forma verbale grazie alla metafora, una figura di significato la cui definizione è pressoché impossibile in poche righe, ma che può evocare in chi ascolta un nesso suggestivo tra significati non correlati. Questa scelta può avere effetti, ad esempio, comici e rocamboleschi come accade in questo celebre spot della ditta piemontese leader nell’arredo bagno.
La metonimia dell’amaro Ramazzotti
Nel corso degli anni, gli amari nostrani hanno saputo distinguersi nella comunicazione above the line per l’esplorazione di quel piacere ristoratore postprandiale tutto italiano. C’è chi ci ha chiesto quando è stata l’ultima volta che abbiamo vissuto “col gusto pieno della vita”, partendo forse dal presupposto che le nostre vite siano più insipide di quanto si possa pensare (Averna).C’è chi, al contrario, ci ha fatto credere che le nostre vite siano già più che appaganti, a tal punto che forse avremmo solo un’ultima cosa da desiderare in più (Lucano). E ancora, c’è chi ci ha raccontato di elicotteri e di missioni archeologiche stressantissime, e porca miseria, dopo che porti in salvo un antico vaso c’è proprio bisogno di un amaro (Montenegro).
Negli anni ’80, Ramazzotti ha preferito una scelta in qualche modo (non me ne vogliano gli altri amari, di cui peraltro sono una moderata ma goduriosa consumatrice) più elegante e che riuscisse a simbolizzare la sua città. Per far questo ha scelto una metonimia: “Milano da bere”.
La metonimia è una figura retorica in grado di associare due concetti a un terzo concetto che sta col secondo dei due in un legame di reciproca dipendenza (ad esempio: il contenitore per il contenuto, o la parte per il tutto, o viceversa, come nel caso di questo slogan). Qui Ramazzotti (e in particolare il famoso copywriter Marco Mignani) ha voluto associare al suo amaro la sua intera cornice di consumo: quella della città di Brera e dei Navigli, ottenendo un effetto evocativo della movida milanese che dopo quasi trent’anni ancora ci ricordiamo.
Allora copywriter, ti è piaciuto questo breve studio? In attesa del secondo post su retorica e advertising ATL, quali altre figure retoriche ti vengono in mente in ambito pubblicitario? Fammelo sapere qui sotto nei commenti.