Il marketing, qualsiasi attributo abbia (e ne abbiamo a decine: social media, cross media, data driven, direct, e-mail, viral, guerrilla, web…) ha una caratteristica universale e imprescindibile: deve produrre risultati misurabili e valorizzabili sotto un profilo economico.
Non esiste idea, per quanto geniale e innovativa, che sfugga a questo assunto: ogni volta che sviluppiamo un nuovo sito, distribuiamo una nuova campagna, decidiamo di compiere un’azione qualsiasi che abbia rilevanza per la nostra azienda, le domande che immancabilmente ci poniamo sono del tono: “Quanto mi costa?”, oppure, auspicabilmente: “Quale margine ne ricavo? Quali sono i benefici?”.
È chiaro che rispondere a queste domande risulta tanto più complicato, quanto più è complessa la nostra campagna, sia dal punto di vista dei canali utilizzati, sia da quello degli obiettivi che ci proponiamo. In sostanza, se devo valutare i risultati di un mailing finalizzato alla vendita di un prodotto one-shot, non dovrò fare altro che mettere in relazione la marginalità prodotta dal bene venduto con i costi di acquisizione dell’ordine: una semplice operazione aritmetica che utilizza due variabili e calcola con estrema semplicità di ROI della campagna stessa.
Quando però entriamo nel mondo della comunicazione digitale, le cose si complicano: non solo per l’enorme quantità di dati normalmente disponibili per valutare le nostre campagne (dai Google Analytics agli Insights di Facebook, tanto per citare i più famosi), ma anche a causa delle finalità trasversali alla vendita diretta che ci proponiamo solitamente con parte delle nostre campagne, dalla Brand Awareness al posizionamento nei Serp dei motori di ricerca.
Anche nel web e social media marketing, tuttavia, è possibile trovare dei punti fermi dai quali partire per misurare l’efficienza del nostro lavoro e verificarne i margini di miglioramento. Vediamo quali sono e qual è il modo più corretto per utilizzarli.
1. COSTO PER CLICK
Se vogliamo avere una risposta on-the-fly alla domanda: “Come stiamo andando?”, non c’è nulla di meglio del Costo per Click. Il concetto è teoricamente semplice: imposto una campagna web (e-mailing, social, banner…), misuro i risultati in termini di click, divido il costo complessivo per i click ottenuti e verifico l’efficacia della campagna stessa. Attenzione, però, alle trappole.
Anzitutto, occorre dire che lo strumento è efficacissimo per effettuare dei test e verificarne subito i risultati. Se imposto due campagne contrapposte su Google Adwords e sto attento a variare solamente una delle condizioni (creatività, keywords, offerta…) otterrò senza meno un benchmark infallibile per sapere quale campagna tenere e quale buttare via (raggiunta, ovviamente, una soglia di click che metta il confronto al riparo da margini di errore statistico).
Confrontare campagne diverse, magari su canali diversi, è naturalmente un altro paio di maniche. Se però vogliamo un dato assoluto, magari per utilizzarlo in altri report economici, ricordiamoci sempre che tutti i costi in gioco devono essere conteggiati, inclusi i costi di creatività, quelli di copywriting, quelli di messa on line.
Scopriremo allora che magari una campagna più performante, se conteggiata solo dal punto di vista PPC, diventa meno performante se al Pay-per-Click si aggiunge anche il costo di delivery, o quello per l’acquisto di un’immagine che l’altra campagna che stiamo analizzando non aveva.
In altre parole, non scordiamoci di nulla: neanche dei costi aziendali interni (ore lavorate in primis). Solo così saremo sicuri di valutare l’efficienza del nostro marketing in modo infallibile.
2. CONVERSION RATE
Che vuol dire “conversione”? Quando iniziai a occuparmi di marketing, mi spiegarono che il concetto di conversione è relativo, appunto, a un mutamento di condizione di un soggetto: un lead che diventa cliente, o un recipient che compie l’azione da noi sperata. Le conversioni propriamente intese sono quindi da considerarsi acquisizioni marginali – clienti, cioè, che non avrebbero fatto quella azione se non sollecitati dalla nostra campagna.
Dicevo all’inizio, infatti, che le metriche che dobbiamo tener presente sono figlie necessariamente dell’obiettivo della campagna che stiamo portando avanti. Se la nostra campagna è finalizzata ad ottenere Likes su Facebook, questo sarà il numero da mettere al numeratore per determinare il tasso di conversione.
Se l’obiettivo è la vendita a nuovi clienti, la quantità di nuovi acquirenti sarà il nostro numeratore, e null’altro. Sul denominatore è un’altra storia. Immaginiamo che io voglia vendere un prodotto, e decida di inviare una DEM a questo scopo. Quale sarà il numero giusto da considerare? Il numero di invii? Il numero di e-mail giunte a destinazione? La quantità di aperture? Addirittura, il numero di atterraggi sulla landing page?
C’è da scegliere, in effetti. A mio parere, queste grandezze dovrebbero essere tutte prese in considerazione, e si dovrebbe verificare se ci sono delle incongruenze nella curva di caduta da un passaggio all’altro rispetto ai nostri valori storici o consueti. Sarà lì, evidentemente, che dovremo allora concentrarci per rispondere alla domanda: “Cosa è andato storto? Quali sono state le varianti che possono aver determinato un comportamento anomalo da parte dei miei recipient?”.
3. COSTO PER LEAD e COSTO PER ORDINE
Entrambe queste misure sono strettamente legate al CPC, nel senso che sono in rapporto aritmetico con quest’ultimo. Chi è abituato a valutare le campagne di marketing dal punto di vista del risultato operativo conosce già il CPO (costo per ordine) che tutti quanti abbiamo valorizzato più volte nei nostri conti economici.
Nel caso del CPL, a cambiare è solo l’obiettivo, e l’unica differenza in effetti è che al posto dell’ordine c’è la generazione di un Lead – ovvero un nuovo ingresso nel nostro CRM aziendale. Il CPL e il CPO sono, assieme al ricavo medio, i più importanti tra i valori economici, poiché sono quelli che determinano il ROI delle campagne di marketing – alla fin fine, l’unico numero che ci interessa davvero.
4. RETURN ON INVESTMENT
In effetti, il ritorno sull’investimento è il numero magico di qualsiasi campagna di marketing, digitale o no. Tecnicamente, corrisponde al rapporto tra utile derivato dall’iniziativa di marketing realizzata e il capitale investito. Calcolato di solito in termini percentuali, questo semplice rapporto esprime la performance di ogni euro speso per lo sviluppo e la realizzazione della campagna. Se una campagna ad esempio produce un ROI del 50%, allora avrà prodotto 50 centesimi di utile per ogni euro speso.
Nulla come il ROI ci fa capire quanto la campagna che abbiamo realizzato sia stata efficace per la nostra azienda. Eppure, questa misura è spesso sottovalutata dai marketers, che gli preferiscono indicatori più ingannevoli, come ad esempio la redemption o il costo per click.
Il mio invito è quello di provare sempre a calcolare il ROI, persino nelle attività di content e di social media marketing. In questo caso il calcolo potrà essere più elaborato (soprattutto nella valorizzazione dei ricavi), ma credetemi: ne varrà la pena.
5. CAC
Ovvero, costo di acquisizione dei clienti, dall’inglese Cost to Acquire a Customer. Si tratta di una metrica fondamentale, da utilizzare soprattutto per le attività commerciali in cui il cliente ha un lifetime molto elevato con importanti acquisti periodici. Calcoliamo il CAC come la totalità dei costi sostenuti nel nostro marketing di acquisizione in un determinato periodo (advertising, direct marketing, costi del personale e di struttura ecc.), rapportata con il numero di clienti generato nello stesso periodo.
Il CAC è tanto più interessante quando messo in relazione con il LifeTime Value del cliente, ossia con la nostra capacità di trarne un valore aggiunto in un tempo prolungato. E’ evidente che un modello di business equilibrato è quello in cui ad un CAC basso corrisponde un LTV elevato. In caso contrario, stiamo sbagliando tutto. Il CAC è, insomma, un numero che misura la nostra efficienza come marketers. Ci piaccia o no.
Ora tocca a te…
Questo è tutto. Come ho detto fin dall’inizio, le nostre metriche sono sempre figlie dei nostri obiettivi. Occorre secondo me tener presente almeno tutte quelle qui riportate, confrontare ogni attività con le precedenti, valutare come si muove il CAC con il passare dei mesi, valutare sempre il ROI di ciò che facciamo. Solo così riusciremo a migliorare di molto, e in tempi brevi, la nostra attività, per renderla più efficiente dal punto di vista dei costi sostenuti e dei ricavi generati. Insomma, alla fine, per migliorarne il ROI.