Social Media Marketing: ormai è quasi diventato di moda.
Mentre in tutto il mondo proliferano fior di seri professionisti (e anche qualche cugGgino) impegnati a spiegare che il marketing del presente e del prossimo futuro non può più fare a meno dei social media, le aziende operano in maniera erratica.
A volte (quando decidono di affidarsi a degli addetti ai lavori, appunto), partono da un acchito corretto, che è quello di definire un approccio strategico di interazione con il mondo social. Più spesso, però, si limitano ad una presenza improvvisata, occasionale, non strutturata e – alla fine – elementare, quando non dannosa per l’immagine e l’identità del brand.
Ultimamente, in un articolo pubblicato sul blog di Fluxe Digital Marketing, Joel Widmer ha suggerito che la gerarchia con cui un’azienda dovrebbe approcciarsi ai social media sia ricostruibile come una piramide di Maslow: un’idea secondo me interessante, e che mi piacerebbe provare a sviluppare qui su 4Writing.
Cos’è una Piramide di Maslow

Fonte: Wikipedia
Iniziamo dalle basi. Che cos’è una Piramide di Maslow?
Il modello organizzativo che porta il nome di Abraham Maslow – noto a tutti gli studenti di psicologia e sociologia – risale agli inizi degli anni ’50 del secolo scorso. Il suo scopo era quello di stabilire una gerarchia di bisogni, dai più elementari ai più complessi – che siano comuni a tutti gli individui.
In pratica, il modello descritto da Maslow era quello di una piramide di bisogni caratterizzati da una scala crescente, strutturata in modo che i bisogni più in alto siano perseguibili solo quando quelli più in basso fossero soddisfatti.
Nei cinque gradini dei bisogni troviamo quindi, dal basso verso l’alto:
- bisogni fisiologici (come la fame, il sonno, la sete ecc.)
- bisogni di protezione e di sicurezza
- bisogni di appartenenza (quali il bisogno di affetto, di identificazione, di appartenenza a un gruppo sociale)
- bisogni di stima (di successo, di realizzazione sociale)
- bisogni di realizzazione di sé (della propria identità e delle proprie aspettative)
I bisogni del social media marketing
Cosa ha che fare il modello di Maslow con il social media marketing?
Di sicuro, il fatto che anche le aziende si trovano oggi a gestire sia dei bisogni primari – la stessa esistenza e sopravvivenza nel mondo dei social – sia dei bisogni di livello più elevato.
In sostanza, le aziende si muovono verso la “realizzazione social” attraverso un percorso articolato, nel quale non riuscire in uno step porta necessariamente a non potersi muovere verso il passaggio successivo.

Fonte: Fluxe Digital Marketing
Quali, questi step?
Vediamoli insieme.
Presenza sui Social
È il momento che dà inizio a tutto: quello in cui le aziende si rendono conto che non possono sopravvivere senza una presenza sui social media, un po’ come non possono sopravvivere senza mangiare e dormire.
Siamo ovviamente allo stadio embrionale: si scelgono i canali social dove essere presenti, si inizia a pubblicare e si aspetta: qualcosa succederà.
Engagement
Naturalmente, la semplice presenza non serve quasi a nulla. Il bisogno successivo è quello della ricerca dell’interazione social, del coinvolgimento, dell’engagement. L’obiettivo diviene allora quello di avere un feedback per ciò che si pubblica sui social: che siano Like, condivisioni, commenti.
Chi non li cerca?
E soprattutto: una volta trovati, a che servono?
Content Marketing
Servono, evidentemente, a fondare una relazione che dovrà poi essere nutrita e prolungata nel tempo. Questo è lo stadio in cui si capisce che il like occasionale o lo scambio di battute non servono a portare business: è necessario andare oltre, e fondare un’attività di content marketing che abbia una sua articolazione fatta di blog, di contenuti di qualità, di piani editoriali e di distribuzione.
Elaborare una strategia di content marketing è il primo passo fondamentale verso un uso consapevole dei social media come canale di business. Il secondo è quello di finalizzare la strategia agli obiettivi di business.
Traffico e conversioni
Creata una social media community mediante la propria attività di content marketing, il passaggio successivo sarà infatti quello di utilizzare questi strumenti al fine di convogliare traffico sul proprio sito web. Quello successivo ancora, e quasi obbligato, è quello di utilizzare questo traffico per ottimizzare il proprio processo di conversione.
Stabilire una pipeline di conversione ottimizzata e funzionante è dunque qualcosa che richiede tempo, risorse e continuità di investimento. Tuttavia – fa notare giustamente Joel Widmer – è abbastanza curioso che la maggior parte delle imprese salti a piè pari dal primo step a quello di voler generare conversioni, salvo poi patire una grande delusione quando questo non succede. Ciò che gli imprenditori non capiscono, spiega l’autore, è che
tu hai bisogno di creare engagement e un traffico stabile verso il tuo sito, prima di poter guadagnare quella fiducia che porterà il tuo pubblico verso la conversione.
Integrazione strategica
La conversione non rappresenta però l’apice della nostra piramide. In cima c’è infatti l’integrazione sinergica dei diversi canali di conversione all’interno di una strategia di conversione integrata.
Questo stadio rappresenta il punto apicale, l’obiettivo cui ogni direzione marketing dovrebbe tendere: quello in cui si sviluppa una strategia che inglobi social media e content marketing in un digital marketing integrato che faccia lavorare insieme tutti i canali (organici e a pagamento) al fine di creare quella ridondanza che sola facilita il percorso di conversione, rendendolo efficace anche dal punto di vista economico.
Un punto d’arrivo, evidentemente, che ancora per molti appare una meta lontana.