I social media sono uno dei centri pulsanti della comunicazione di oggi e hanno modificato radicalmente non solo il dialogo tra gli utenti, ma anche il dialogo tra utenti e brand. Questo garantisce ai brand un punto di osservazione privilegiato dal quale tenere sotto controllo le opinioni e i desideri dei suoi utenti, ma, come sanno tutti quelli che sui social media lavorano abitualmente, a seconda delle situazioni che si vengono a creare può costituire un rischio.
Sui social media infatti tutto è amplificato: un’azione di successo può diventare virale tanto quanto un errore, di atteggiamento o di comunicazione, fatto sui social o al di fuori di essi.
L’ultimo brand a rendere evidente questa verità è stato Barilla, al centro della nota polemica sulle affermazioni fatte da Guido Barilla riguardo alle famiglie tradizionali e alle famiglie omosessuali che ha invaso i social network, ma ha avuto degli illustri precedenti in Italia e all’estero, dei perfetti esempi di “social media crisis”.
In Italia è rimasto famoso in negativo il caso di Patrizia Pepe. Nel 2011 il noto marchio di abbigliamento aveva lanciato una pubblicità con modelle magrissime e in brevissimo tempo i clienti avevano fatto sentire sui social tutto il loro disappunto per questa scelta. Una gestione corretta avrebbe imposto delle risposte diplomatiche, delle spiegazioni, o anche un’ammissione di colpa per avere suscitato uno sdegno tanto diffuso. Purtroppo per Patrizia Pepe, però, la gestione non è stata affatto corretta: gli utenti hanno ricevuto delle risposte brusche e irritate che hanno avuto come ovvio esito quello di aumentare ancora di più il malcontento. Il caso è stato ai suoi tempi talmente eclatante che lo stesso brand ha in seguito analizzato il problema, senza però poterlo arginare, tanto che ancora a distanza di anni lo si ricorda come un brutto scivolone e un errore a livello di brand reputation.
Altro esempio di pessima gestione di una social media crisis è quello che ha avuto come protagonista un ristorante-pizzeria, la Amy’s Baking Company. Si tratta di un caso più recente, risalente a pochi mesi fa e molto noto all’estero, anche se meno famoso in Italia. Il locale è stato protagonista della trasmissione “Cucine da incubo” di Gordon Ramsay, seguitissima anche da noi, e sicuramente resterà agli annali, perché per la prima volta nella sua storia lo chef Ramsay ha abbandonato il locale al suo destino ritenendo assolutamente impossibile rapportarsi con i proprietari. Dopo la trasmissione numerosissimi clienti della Amy’s Baking Company hanno deciso di dire la loro e sono fioriti commenti e lamentele impossibili da controllare. Anche in questo caso, la buona norma avrebbe voluto un “mea culpa” da parte dei gestori: il loro stesso partecipare a una trasmissione televisiva per risollevare le sorti del locale era una chiara ammissione di difficoltà, non serviva certo inimicarsi dei clienti già irritati. I gestori, invece, hanno dato sì delle risposte ai commenti, ma ai limiti dell’insulto, peggiorando una situazione già difficile. In seguito a queste risposte, hanno poi affermato di essere stati vittime di hacker e quindi di non essere responsabili di quanto avvenuto. La loro posizione, però, non è stata credibile e l’affermazione fatta per discolparsi ha gettato del ridicolo su una reputation già compromessa.
Esistono degli esempi virtuosi nella gestione di una social media crisis, o ci sono soltanto errori e sbagli disseminati sul web? La giusta premessa da fare è che una social media crisis non è sempre frutto di un errore: le reazioni degli utenti spesso sono imprevedibili, o dipendono da qualcosa accaduto al di fuori del mondo del web su cui quindi non si può avere nessun controllo.
Detto questo, un buon esempio è dato da Costa Crociere. Tutti noi purtroppo ricordiamo l’incidente dell’Isola del Giglio, il comandante Schettino e l’eco che una triste tragedia ha avuto in Italia e all’estero. Un fatto simile non poteva che danneggiare l’immagine del brand, che però si è impegnato per salvare tutto il lavoro che aveva fatto precedentemente e per restituite al suo nome una credibilità. Per farlo ha puntato moltissimo sulla comunicazione: sono cambiati gli spot pubblicitari, che con colori, situazioni e testi hanno cercato di trasmettere sicurezza e sono stati presidiati con attenzione i social. Proprio i social, che avrebbero potuto diventare una valvola di sfogo e di scherno contro Costa Crociere, sono invece stati il punto di incontro dei fan che hanno dato il loro appoggio al brand, che è riuscito a gestire la situazione con commenti aperti, sinceri e trasparenti, senza mai nascondersi in un momento in cui qualsiasi passo falso avrebbe potuto essere un danno difficile da recuperare.
Social Media Crisis: cosa impariamo da tutti questi casi?
– I social devono essere il luogo privilegiato in cui instaurare un rapporto e un dialogo con i propri utenti e se si otterrà questo risultato saranno gli utenti stessi a supportare in caso di “crisi”
– Bisogna pesare con attenzione le parole che vengono scritte sui social: gli utenti le leggono, le pesano e rispondono
– Se accade qualcosa, sui social o fuori da essi, che determina una reazione da parte degli utenti, non bisogna mai ignorarla: gli utenti meritano delle risposte, se non le hanno spontaneamente le pretendono e se non le ottengono comunque il loro atteggiamento si inasprisce
– Bisogna sempre inserire nella propria strategia digitale un piano di gestione della crisi: capire quali sono le priorità, chi ha le responsabilità di fare cosa. Si parla di Social Media Crisis Management ed, oggi, non è più trascurabile!
Spesso i profani pensano che gestire i social significhi mettere un paio di post su una pagina e scherzare con chi li commenta, ma è molto di più: significa prendersi la responsabilità della presenza online di un brand, studiare la comunicazione migliore per il tipo di pubblico che lo segue e avere sempre una reazione consapevole e convincente a quanto viene detto.
Se sui social c’è il caos, chi li gestisce non si può permettere di perdere la testa.
Tu cosa ne pensi?
Cosa ne pensi delle varie case history che abbiamo preso in considerazione? Gestire i Social è un’azione delicata oppure no?