La data: il 4 febbraio 2004.
Il luogo: l’area metropolitana della città di Boston, nel Massachusetts.
L’idea: digitalizzare l’annuario fotografico degli iscritti l’università di Harvard, il “Facebook”, per facilitare, mediante il World Wide Web, la socializzazione fra gli studenti.
Facebook compie 10 anni
Facebook ha appena festeggiato il suo decimo compleanno. Dal 4 febbraio di un decennio fa, la crescita del social network è avvenuta a ritmi incalzanti e inediti su scala mondiale, fino a raggiungere l’attuale cifra di 1,2 miliardi di profili attivi.
Credo che né Mark Zuckerberg, il geniale creatore di The Facebook (come si chiamò fino al 2005, quando perse l’articolo determinativo e iniziò a diffondersi a ritmi sempre più vertiginosi), né i co-fondatori Dustin Moskovitz, Chris Hughes e il brasiliano Eduardo Saverin avrebbero mai immaginato che quella iniziativa, destinata inizialmente a rimanere entro i confini di poche università americane, avrebbe cambiato le abitudini di una parte consistente della popolazione mondiale e avrebbe contribuito a costruire qualcosa che fino a pochi anni fa era non solo inedito, ma anche inimmaginabile: l’identità digitale.
Gli italiani e Facebook
In Italia Facebook ha iniziato ad essere conosciuto dalla fine del 2007 e ha subito avuto effetti dirompenti, contribuendo a far calare drasticamente l’analfabetismo digitale dei nostri connazionali, allo stesso modo in cui le trasmissioni televisive del maestro Alberto Manzi, negli anni ’60 del secolo scorso, avevano insegnato l’ABC a una popolazione ancora fortemente ruralizzata.
La diffusione di Facebook è stata infatti rapidissima anche nel nostro Paese, con il superamento della soglia dei 10 milioni di utenti già nel 2009 e di quella dei 20 milioni appena due anni dopo.
Una così capillare distribuzione ha necessariamente comportato un cambiamento di abitudini radicale in categorie sociali legate a comportamenti di acquisto più tradizionali, rendendole partecipi di una rivoluzione fatta di e-commerce, di canali di vendita sempre più ibridi e di pubblica espressione e condivisione di gusti e preferenze.
Inutile dire che, nell’immaginario dei marketing professionals, ciò ha determinato un netto spostamento di prospettiva e il passaggio definitivo da una comunicazione direct completamente devota alla carta, dominata da regole ferree vecchie ormai di decenni, alla scoperta che vi erano canali alternativi che potessero non già competere, ma integrarsi sinergicamente con il classico direct mailing di cellulosa.
Da outbund a inbound: l’evoluzione social del direct marketing
Per chi si occupa di marketing, Facebook ha riscritto per sempre le regole della comunicazione commerciale. Ripensando a come facevamo marketing dieci anni fa nelle aziende e nelle agenzie di comunicazione, a come vedevamo allora il cliente e in generale il consumatore, ci si rende conto, infatti, che le innovazioni causate da Facebook sono state qualcosa di straordinario.
Mettendo a disposizione delle aziende una piattaforma di contatto attraverso la quale entrare in relazione diretta con i propri clienti, Facebook ha cambiato per sempre la prospettiva del marketing, che da orientato unicamente verso il cliente è diventato improvvisamente bidirezionale.
Spostando il peso della comunicazione dall’outbound all’inbound, il social network è diventato il luogo privilegiato di questa interazione, contribuendo non poco alla costruzione di un rapporto fiduciario tra azienda e cliente basato sul dialogo e sul consenso, espresso attraverso il Like.
Dal messaggio verticale alla condivisione orizzontale
Con Facebook, di conseguenza, anche la costruzione della brand awareness e della fiducia del consumatore nei confronti del brand ha cambiato faccia: alle dichiarazioni autoincensanti e all’uso ormai inflazionato delle celebrities nell’advertising si sostituiva il testimonial di eccezione che qualunque marketer vorrebbe reclutare: il parente o l’amico contento del proprio acquisto. Se vogliamo individuare un momento topico, un punto di non ritorno per il marketing determinato dall’avvento di Facebook, è proprio in questa condivisione dei consigli per gli acquisti, resa strumento di marketing con le notizie sponsorizzate.
Il modello alla base di questo particolarissimo direct advertising è, come è noto, che la comunicazione commerciale deve giungere, per avere massima efficacia, da una fonte ritenuta affidabile dal destinatario. Se poi la fonte della comunicazione è in grado di “fare tendenza”, le cose andranno ancora meglio, e il risultato sarà garantito. La grande innovazione di Facebook è stata allora quella di consentire una propagazione orizzontale dei contenuti tra peers, mediante il meccanismo della condivisione, e di rendere questo meccanismo disponibile alle aziende per le proprie attività promozionali.
La persona al centro del marketing
Questa dinamica comporta, però, qualcosa in più di una semplice riscrittura di alcune regole della comunicazione. Dieci anni fa, quando Facebook ancora non esisteva, le aziende erano ancora chiuse nel proprio guscio, e tutto ciò che ne veniva fuori (comunicazioni, prodotti, report ecc.) era posto sotto un rigido controllo e vagliato lungo una filiera decisionale più o meno articolata. Oggi accade il contrario: la value proposition di un’azienda e persino il brand sono spesso oggetto di una sorta di co-creazione controllata in cui il pubblico dei consumatori diviene sempre più parte attiva e le aziende perdono sempre più quell’aura impersonale che le ha caratterizzate in gran parte della storia recente.
Al di là delle tecniche di marketing, delle nuove definizioni e delle modifiche alla catena del valore, il più grande contributo che Facebook ha portato al marketing è, in fin dei conti, proprio questo: l’aver messo le persone, gli esseri umani al centro della comunicazione.
Il rapporto tra “azienda” impersonale e “cliente” trattato come entità puramente numerica e astratta si è forzatamente trasformato, divenendo quel che avrebbe sempre dovuto essere: un dialogo tra persone, ancorché mediato da una piattaforma tecnologica, che forse non sarebbe mai stato possibile senza la creazione di Mark Zuckerberg.
Dalla nascita di Facebook, insomma, il marketing non è più B2B o B2C: è, invece. sempre più H2H, Human to Human.
3 coomenti
Leggendo queste righe non posso non pensare al film, e nel mio piccolo vissuto quotidiano, la riflessione sul fatto che ormai, in qualsiasi evento, umano o professionale, prima o poi esce la domanda “…in caso posso contattarti su facebook” o peggio ancora “vabbè tanto stai su facebook no?” (tragedia se il profilo non ce l’hai. Volti tristissimi e pietosi degli interlocutori)mi porta a pensare che il fenomeno fb ha trasceso da molto il semplice utilizzo come social network. E’ vero sicuramente ha permesso nel marketing una immediatezza di contatto che prima non c’era e diminuita la sensazione di impersonalità dell’azienda. E’ vero anche che molte “amicizie” e/o “mi piace” su FB sono abbastanza facili e per così dire “modificabili”. Una parola sbagliata o una genuina risposta e/o opinione e il classico “…mo ti tolgo l’amicizia su facebook” è sempre in agguato. Vorrei sapere a questo punto a cosa corrisponde ciò nel magico mondo del marketing. Se il prodotto o proposta o servizio non funziona, o peggio è dannoso il tempo e l’impegno per riparare/limitare il danno che già in una situazione “prefacebook” era poco, è sufficiente adesso? Un esempio pratico. Una nota marca di fotocamere presentò tempo fa un gran modello che ebbe subito un bel successo. Visto l’alto prezzo ne fece una versione “più economico” con prestazioni di poco inferiori. Subito ci fu la corsa all’acquisto e quasi subito in tempo reale tutti si accorsero che c’era un difetto sul sensore che emergeva dopo qualche tempo. Ora in rete tutti gli appassionati sanno che il tal modello “è na sòla..” e anche se l’azienda subito ha prodotto un nuovo modello identico (invece che la versione XXX fece la versione XXXb) ma senza il famoso difetto di fabbricazione, la diffidenza e anche “il rancore” quasi personale verso la famosa marca da parte degli appassionati è stata palpabile in tutti i siti specializzati e a mio avviso, soprattutto nelle chiacchiere facebook nei vari gruppi di fotoamatori. Quindi sicuramente il rapporto è divenuto H2H con tutti i vantaggi ma anche con tutti i rischi (tipo le chiacchiere…)!
Giovanni, hai colto nel segno. Il problema è che se da un lato i social network consentono alle aziende un rapporto umanizzato e costante con i propri followers/clienti, dall’altro qualsiasi problema, se non opportunamente gestito, può trasformarsi in tragedia (o peggio in farsa). Pensa anche a casi recenti (come quello del noto pastificio italiano e delle dichiarazioni omofobe del suo presidente) per renderti conto che non si deve arrivare a “sbagliare” un prodotto per finire alla berlina, basta sbagliare frase. D’altro canto, il rapporto bidirezionale con i propri clienti dà anche la possibilità di rimediare agli errori e a gestire tempestivamente e in modo creativo una eventuale crisi di rapporto, recuperando facilmente posizioni laddove tutto lasciava pensare a un crollo. È questo, alla fine, il motivo per cui la gestione aziendale di un così importante amplificatore d’immagine va lasciata in mano a professionisti e a persone preparate a gestire e a rispondere adeguatamente in tutte queste situazioni – altrimenti il disastro può essere sempre dietro l’angolo…
Trovo che l’articolo colga molto bene l’avvenuta “umanizzazione” e la personalizzazione delle campagne pubblicitarie e di marketing. Basti pensare alla scelta operata da importanti aziende di noti e diffusi prodotti (una bevanda e un prodotto spalmabile) di stampare i nomi di persona sulle confezioni… Qualcosa che poco tempo fa sarebbe parso folle!