No, perché a me è il dubbio è venuto! Eccome.
Per farvi comprendere meglio il perché di tale amletico e spinoso interrogativo, dobbiamo fare un passo indietro. Non troppo lontano nel tempo della rete.
Vi ricordate di Stefano De Marco, Niccolò Falsetti e Alessandro Grespan? Non sono tre nomi presi così, a random, dall’elenco telefonico. Sono i ragazzi di zerovideo.net che, immagino, ricorderete grazie alla loro campagna di sensibilizzazione realizzata per il rispetto dei lavori creativi e denominata con il semplice – ma di grande effetto – hashtag “#coglioneNO”.
Personalmente definisco il trio “Creativi con la C maiuscola” poiché hanno partorito un’idea di successo, grazie alla quale sono riusciti a mettere in moto un aspetto importante per chi svolge il lavoro del creativo. I loro video racchiudono perfettamente ciò che si cela dietro #coglioneNO. Però, ahimè, non tutti hanno capito l’autentico senso di questa campagna.
Ve lo dimostro in questa immagine e da qui parte lo #Sfogo di chi crede nel proprio lavoro
Come noterete, ho commentato il video “Lo diresti al tuo idraulico? #coglioneNO” semplicemente affermando, e sostenedo, la campagna attraverso l’utilizzo di queste parole: “Rispettiamo il lavoro dei creativi”.
Cosa avrò mai detto di così alienico? Pensavo che il verbo “rispettare” racchiuso in questo specifico contesto riuscisse ad indicare perfettamente il senso del valore del lavoro del creativo: valore in termini di professionalità, stima e – naturalmente – sotto l’aspetto economico.
Sì, perché ricordiamolo e gridiamolo a voce alta: IL LAVORO DEL CREATIVO È UNA PROFESSIONE come quella dell’avvocato, del commercialista, del medico, ecc., ecc. E come tale va rispettata. O, no?
In realtà il SignorX (che per motivi di privacy non riporto il nome) afferma che in “questo contesto non si tratta di rispettare ma di pagare (e va anche bene se non fosse stato per il resto, NdA), il che dipende da fattori molto diversi da quelli puramenti etici. Se i creativi non vengono pagati è perché, evidentemente, c’è chi è disposto a farlo gratis: in queste condizioni non c’è rispetto che tenga. Si tratta semplicemente di mercato, i creativi evidentemente sono troppi”.
Ecco qua entra in gioco la mia rabbia.
Mi sono soffermata più volte su tre punti:
Se i creativi non vengono pagati è perché c’è chi è disposto a farlo gratis…
Caro SignorX: partiamo dal presupposto che ognuno di noi è nato libero; libero di agire; di fare ciò che più gli piace; ovviamente sempre entro i limiti e rispettando la norma giuridica. Ma se anche fosse vero quanto da te affermato, ciò si tradurrebbe in legge comune, ovvero valida per tutti i creativi? Non penso proprio. E poi, caro SignorX, non raccontiamoci storielle: chi mai al giorno d’oggi, e sottolineo oggi, non si fa pagare perché degnamente ha svolto un lavoro? Chi?
Ma tu sa cosa significa la parola lavoro? Il termine “lavoro” deriva dal latino labor, che significa fatica. E, sì: lavorare significa faticare. E come viene ricompensate tale fatica se non con un adeguato compenso? E facciamo pure la scoperta dell’acqua calda: il lavoro è un’occupazione retribuita! Altrimenti si chiamerebbe hobby, passatempo!
…in queste condizioni non c’è rispetto che tenga…
In quali condizioni? Il rispetto – così come leggiamo dal Dizionario Garzanti – è un sentimento che induce a riconoscere i diritti, il ruolo, la dignità, il decoro di persone o di cose e fa astenere dal recare loro offesa. Capito? Il lemma “rispetto”, come puoi notare, calza a pennello anche per l’argomento cui stiamo trattando. Il lavoro del creativo, in quanto lavoro, è un diritto che veste un ruolo ben preciso nel contesto sociale cui viviamo e degno di essere considerato tale… Pertanto, non offendiamo!
Si tratta semplicemente di mercato, i creativi evidentemente sono troppi
Poi questa: i creativi sono troppi! Invece, dottori, commercialisti, ingegneri, architetti (e la lista potrebbe continuare all’infinito) sono pochi, vero? Loro sì, che hanno il diritto di espletare la loro mansione, anche concorrenziale, senza che vengano danneggiati dal mercato (voglio evidenziare che non provo sentimenti negativi per queste categorie di lavoro, li ho semplicemente citati a titolo esemplificativo).
Il problema, caro SignorX – ma anche Y, Z, K, – sì, perché non sei il solo che svaluta il lavoro creativo, è proprio il mancato rispetto, e qui ti riporto ancora una volta la mia risposta: il rispetto, così come lo intendo io in questo ambito, si traduce nel NON considerare il lavoro dei creativi come un reale lavoro, e come tale degno di essere retribuito. Purtroppo non si tratta di quantità o, semplicemente, di persone che svolgono il proprio lavoro gratuitamente, ma di considerazione.
Spiego meglio: Il creativo non è assolutamente considerato come persona che intellettualmente svolge il proprio lavoro; e sai perché? Perché, ahimé, esistono persone ignoranti (nel senso di mancata conoscenza, non voglio essere offensiva). Ripeto: per la stragrande maggioranza delle persone, il lavoro si difinisce tale solo se si parla di “avvocato”, “commercialista”, ecc. Il creativo è solo colui che fa quattro cosette!
Creativi di tutta la rete volete aggiungere altro al mio libero sfogo? Io sono molto indignata… E voi?
#Sfogo di chi crede nel proprio lavoro.
9 coomenti
Ciao Francesca,
come ti capisco!
Quando si parla di lavoro creativo, ma anche solo di comunicazione in generale, si arriva sempre a quel punto: il nostro lavoro è facile da fare perché sono 4 cXXXXX!
Il cliente alle volte va evangelizzato, sopratutto se non parliamo di grandi budget e apertura a 360° verso la materia. Ci sono aziende ma anche privati che sono riusciti a farsi una posizione grazie ai lavori creativi, alla comunicazione quindi snobbarla appare eccessivo. Pensiamo solo a Beppe Grillo e al suo blog.
Che siano persone invidiose? mi spiego meglio, forse vorrebbero essere creativi anche loro (a parole) ma a fatti no perché capiscono quanto dovrebbero faticare per arrivare in quel piccolissimo punto in cui siamo arrivate noi.. e la strada è ancora tanta!
E se l’evangelizzazione non va a buon fine? Solo il tempo ci darà la risposta giusta!
#creativo si, #coglioneNO
Ciao Elena,
hai parlato di invidia.
Un altro punto da aggiungere alla lista.
L’invidia, purtroppo, è un sentimento che appartiene a molti. E ciò mi dispiace. Per me non dovrebbe esistere; infatti, personalmente non la capisco e né tantomeno la concepisco.
Ognuno di noi ha delle qualità, doti, pregi… chiamiamoli come vogliamo. Poniamo io sia brava a comunicare attraverso la scrittura, mentre un’altra persona attraverso il canto. Ora, perché mai, io dovrei sforzarmi di cantare se sono stonata come una campana?
Il lavoro viene sottovalutato perché la gente pensa che sia tutto facile… quindi, perché dovrebbero pagarti se una cosa che fai è facile?
Beata ignoranza… si fa per dire!
Che dire: concordo su ogni punto!
La mia tattica per far capire che il lavoro che viene svolto è un LAVORO a tutti gli effetti è quello di fare il paragone con quello svolto da Mister X.
Io dedico tot tempo a fare questa cosa e il mio tempo costa Y, quindi caro Mister X questo è il mio compenso.
Sarei curiosa di vedere il lavoro svolto dal creativo che svende o, peggio, regala le sue prestazioni d’intelletto.
Purtroppo viviamo in un paese in cui se lavori al pc disegnando, scrivendo o programmando sei solo un “cazzaro perdigiorno” e non un lavoratore.
Quindi anche Mozart, Picasso, Flaubert, Seneca, Kandinsky, Freud e tanti altri creativi, pensatori, scrittori ecc sono stati dei cazzari perdigiorno?
Ben detto Silvia!
Come ho già detto, e ridetto, secondo me è questione di mentalità. Speriamo che le nuove generazioni comprendano i sacrifici che si celano dietro un lavoro intellettuale, e creativo, e soprattutto ben fatto!
Ciao Francesca, posto che condivido il tuo commento e che condivido i contenuti e le modalità della campagna #CoglioneNO faccio uan riflessione sulla frase: “Se i creativi non vengono pagati è perché, evidentemente, c’è chi è disposto a farlo gratis”. Ecco: questa, purtroppo, è una verità. Mi spiego meglio: nessuno chiede ad un idraulico di fare gratis un lavoro perché tutti, ma proprio tutti, anche quelli che non sono professionali, anche quelli che fanno un lavoro fatto male (e ce ne sono, come in tutte le categorie professionali), anche quelli alle prime armi, pretendono di essere pagati per fare il lavoro. Non si troverà mai (almeno io non sono mai riuscita a trovarlo) un idraulico che svolga il suo lavoro a titolo gratuito. Per questo nessuno gli chiede di lavorare gratis.
E qui sta la differenza con le professioni creative. Di pesone che questo lavoro lo svolgono gratis, purtroppo, se ne trovano molte. Ecco perché è passato il messaggio che per questa tipologia di lavoro non è strettamente necessario pagare.
Insomma, parliamoci chiaro: il cliente di un social media manager e il cliente di un idraulico in molti casi coincidono (anche chi ha un’azienda e vuole gestire i social aziendali ha bisogno di idraulici) ma il risultato in termini di comportamento e di richiesta è diverso. E di chi è la colpa? Del cliente?
Secondo me, no. La colpa è della categoria che al suo interno ha moltissime persone (professionali o meno) disposte a lavorare gratis.
Ciao Sabrina,
evidentemente, le persone che appartengo a “quella” determinata categoria, non credono nel proprio lavoro poiché non sprecano energie per realizzarlo.
Pertanto, questi signori dovrebbero assumersi la responsabilità di affrontare l’argomento dichiarando che ciò che loro chiamano “lavoro” è semplicemente un hobby.
Non penso che questi soggetti riescano a portare alla fine del mese la pagnotta solo perché hanno deciso di svalorizzare il loro lavoro creativo. Faranno qualcos’altro per campare; o no?
Ripeto: ognuno è libero di fare ciò che meglio crede; ma se a me viene chiesto di “sprecare” le mie risorse per creare vantaggi a terzi, a questo punto il mio “sforzo” dovrà essere ripagato!
Assolutamente, sottoscrivo in pieno. Il mio commento era soltanto volto a sottolineare che il vero problema ce lo abbiamo “in casa”. I clienti sono gli stessi per tutte le categorie professionali, né più intelligenti né meno. Forse dovremmo pensare a una campagna di sensibilizzazione non diretta verso l’esterno (con campagne come “Lo diresti al tuo idraulico?”) ma diretta verso l’interno (con campagne come “e lo chiamo lavoro?”), cioè fare “formazione” proprio all’interno delle professioni creative e sensibilizzare in merito al fatto che NON si lavora gratis. Mai.
Ciao Sabrina,
scusami non era un “attacco” nei tuoi confronti, assolutamente.
Il tuo consiglio di fare formazione all’interno delle professioni creative non sarebbe una cattiva idea.
Si potrebbe avviare una sorta di “campagna d sensibilizzazione” nei confronti del creativo e del suo lavoro che, come sottolinei tu, non va fatto gratuitamente!!!
Non direi IGNORANTE, non nel senso che ignora- perché si può smettere di ignorare con l’ informazione; chi sottovaluta e minimizza il ruolo del creativo è un DEFICIENTE, nel senso che manca di spirito, creatività, ottimismo e sfumature dell’ intelletto e dell’ interiorità.
Amen!